Attualità

Le responsabilità dei media

Alla fine, la seconda ondata è arrivata. Lo spettro di una nuova ondata epidemica in autunno aleggiava da tempo, gli esperti da settimane lanciavano inascoltati l’allerta. Nessuno li ha ascoltati. Nessuno ha preso sul serio gli allarmi. Nessuno ha voluto prendere in considerazione seriamente l’evoluzione storica dell’influenza spagnola e della sua seconda ondata, ben peggiore della prima. A maggio il pericolo era ormai scampato, per molti. A giugno, luglio e agosto eravamo sostanzialmente convinti che l’epidemia fosse ormai alle spalle, che fosse un brutto incubo dal quale eravamo riusciti a uscire un po’ acciaccati. Nonostante già a fine agosto Francia e Spagna mostrassero un andamento dei contagi non esattamente sereno, in Italia abbiamo fatto di tutto per respingere l’ipotesi di una seconda ondata al mittente, finché abbiamo potuto.

Se è vero che il Governo ha commesso molti errori e non si è adeguatamente preparato a fronteggiare il rischio di una seconda ondata, e penso al fronte dei traporti pubblici su tutti, allo stesso modo è vero che nessuno di noi è davvero esente da colpe. Dopo tanto esserci fossilizzati sullo scambio di accuse tra opposizioni politiche e istituzioni, forse è venuto il momento di mettere il sistema mediatico sul banco degli imputati. Perché se è vero che dalla fine del lockdown molte persone hanno abbassato la guardia e hanno pensato che il pericolo fosse ormai scampato, allo stesso modo è necessario sottolineare che chi ha permesso alle persone di pensarlo è stata un’informazione superficiale e a tratti grottesca che ha passato l’estate e l’inizio dell’autunno a dar voce alle più disparate posizioni riduzioniste e negazioniste, mettendo il megafono in mano a esperti in cerca di fama e celebrità e politici privi di scrupoli che per una manciata di voti in più non si sono fatti problemi a manipolare la realtà e a disinformare scientemente i cittadini.

Dalla fine del lockdown, abbiamo assistito, su tutti i media, nessuno escluso, a una vera e propria sfilata di bizzarre teorie prive di fondamento scientifico e alle incessanti interviste a esponenti politici che non hanno fatto altro che deridere gli scienziati che chiedevano di fare attenzione, disprezzato le norme anti-contagio, negato il rischio di una seconda ondata, chiesto a più riprese di riaprire tutto il riapribile e di tornare alla vita pre-pandemia senza tener conto dell’evoluzione della situazione nel breve periodo. E tutto questo senza che nessuno, né prima né successivamente, quando la realtà dei fatti è arrivata prepontemente a bussare alla porta, abbia chiesto loro conto delle panzane inanellate nel corso dei mesi.

A concedere il palcoscenico a questi personaggi in cerca di fama e consenso sono stati dei media impreparati a gestire un confronto su basi scientifiche, incapaci di comprendere il senso di determinate dichiarazioni, buoni solo a fare da gran cassa alle affermazioni più grossolane e grottesche. Anzi, più le affermazioni sono grossolane e grottesche e più strampalate sono le teorie, più ce le ritroviamo a occupare le colonne dei giornali cartacei e online e le trasmissioni televisive per giorni. Mai che venga posta “la seconda domanda”, mai che venga chiesto un approfondimento sui bizzarri dati che chiunque con un minimo di conoscenza della materia bollerebbe come cazzate in men che non si dica.

Abbiamo visto media concedere ampio spazio a “esperti” che in corso di pandemia hanno detto tutto e il contrario di tutto senza mai chiedere conto delle affermazioni pregresse, pubblicare e diffondere interviste a tutto campo a “scienziati” notoriamente filo no-vax – con un grado di credibilità all’interno della comunità scientifica pari a zero – senza batter ciglio, senza fermarsi nemmeno per un momento a porsi domande sull’attendilità di quelle dichiarazioni così assurde e così pericolose. Abbiamo visto per mesi pericolose affermazioni e dati-che-dati-non-erano gettati, senza cura, in pasto a un’opinione pubblica sempre più confusa e alla ricerca di risposte.

Più la teoria è strampalata e più i media la rincorrono e la pompano. Non importa se tre economisti propongano l’impossibile segregazione degli over 50, che pure un bambino sarebbe in grado di capire quanto questa proposta sia inattuabile, la balzana idea viene comunque pubblicata e diffusa perché fa dibattito, perché il pezzo fa click, e dibattito, click e views sono tutto ciò che contano. Che alla base della proposta non esista alcun processo di fact-checking ante-pubblicazione è un fatto piuttosto evidente, ma poco importa. Anzi, nulla importa. E’ la nuova informazione, bellezza. E che sia piuttosto imprecisa, sciatta e scalcagnata non ha alcuna importanza se genera impression, like e views.

Nonostante esistano valorosi colleghi – troppo pochi se posso permettermi – che hanno provato e tutt’ora provano a ridimensionare le uscite di taluni personaggi, il debunking e fact-checking hanno ben poca presa di fronte all’incessante ondata mediatica sospinta da un carrarmato di media mainstream molto più potente delle rare vox clamantis in deserto che trovano spazio sui social media o sulle colonne delle stesse strabiche testate giornalistiche che la mattina combinano il danno e la sera cercano di metterci una pezza solo per mantenere intatta la maschera di testata devota al diritto alla libertà di opinione e al pluralismo dell’informazione.

Dopo mesi di interviste a politici e scienziati negazionisti, di articoli basati su teorie e ipotesi assurde propagati senza alcuna verifica sui dati distorti o manipolati che gli intervistati non hanno alcuna difficoltà a diffondere grazie a giornalisti compiacenti, dopo mesi di “pezzi” dai titoli folli e pubblicati per la sola ragione di essere estremamente funzionali alla viralità e per nulla alla deontologia professionale e alla corretta informazione, dopo mesi di continue interviste a esperti e politici di turno senza contraddittorio alcuno e senza mai avere il coraggio di chiedere conto delle loro stesse false affermazioni sbertucciate dalla realtà, io mi domando che senso abbia il giornalismo oggi.

Me lo chiedo con la tristezza nel cuore che può provare chi in questo mestiere ha investito quasi tutta la vita e nel momento forse meno opportuno ha deciso di abbandonare una battaglia considerata persa per mancanza di energie. Per fare giornalismo ci vuole etica professionale, preparazione, responsabilità morale. Giornalismo non è raccattare qualsiasi cosa dai social o fare da cassa di risonanza alle voci finto controcorrente di chiunque col paravento della necessità di dibattito pubblico. La libertà di opinione è sacra, la libertà è responsabilità e proprio per questo non può essere deliberatamente confusa con libertà di disinformare, ne è l’esatta l’antitesi.

Foto di PIXNIO

Charlotte Matteini

Mi chiamo Charlotte Matteini, sono nata il 30 dicembre del 1987 e tra pochi mesi compirò *enta anni. Sono laureata in una materia piuttosto bistrattata: comunicazione politica. Ho un passato da consulente, professione mollata per seguire la mia vera passione: il giornalismo. Sono ufficialmente giornalista dal 2016, ufficiosamente dal 2011, e mi occupo di politica interna e polemiche assortite.

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