Attualità

Se non ti sventrano come una papera, allora non è stupro

Senza timore di essere smentita: dal punto di vista giornalistico, il caso dello stupro di Firenze è in assoluto il punto più basso mai toccato nel dibattito pubblico e mediatico in Italia. Una narrazione giornalistica volta a colpevolizzare le vittime, piena di illazioni e notizie rivelatesi false, gettate in pasto all’opinione pubblica senza colpo ferire, senza alcun tipo di remore. Prima l’assicurazione contro lo stupro, rivelatasi poi inesistente, è stata utilizzata, dai cronisti prima e dai commentatori poi, per minare la versione dei fatti resa dalle vittime, facendole passare per delle calcolatrici prive di scrupoli che hanno finto una violenza sessuale per racimolare qualche dollaro grazie al risarcimento della compagnia assicuratrice.

Come se non bastasse, è stato diffuso un altro dato: su 150-200 denunce per stupro presentate a Firenze, il 90% si rivela essere privo di fondamento. La fonte? Sconosciuta. Tutto ciò che sappiamo è che il dato è stato diffuso da una cronista del quotidiano La Stampa che si sta occupando del caso e che sostiene sia un dato confidenziale non ancora reso pubblico dalle autorità. Peccato che il questore di Firenze sia stato costretto a intervenire per smentire l’allegra fake news, dichiarando che trattasi di “bufala al cubo” e che “nel 2016 in provincia di Firenze ci sono state 51 denunce per violenza sessuale e che non vengono trattate distintamente quelle provenienti da stranieri”.

La denuncia delle due studentesse americane è stata sbattuta in prima pagina la sera del 7 settembre 2017. Senza aspettare nemmeno che il quadro si chiarisse, in virtù di quello che a tutti gli effetti è un sacrosanto principio di civiltà, quello del garantismo – si è ben pensato di proteggere e difendere i due presunti violentatori con tutte le cautele del caso – condizionali a profusione, tutela della loro identità, versione delle studentesse messa in dubbio piú o meno ogni tre righe – dimenticando però di applicare lo stesso tipo di trattamento alle vittime, descritte come delle viziose signorine dedite alla perdizione che al momento del reato erano per giunta ubriache e drogate – ah signora mia, ma dove andremo a finire. Insomma, garantismo sí, ma non tutte le parti in causa hanno diritto a beneficiarne.

All’unanimità, la stampa italiana ha buttato in pasto ai feroci lettori e commentatori assetati di gogna le due ragazze americane, che sono state vilipese e oltraggiate in ogni modo, violentate per la seconda volta. Nemmeno di fronte alla confessione di uno dei due carabinieri – che ha ammesso il rapporto sessuale in servizio sostenendo però fosse certo che la ragazza fosse consenziente – la posizione delle ragazze si è alleggerita. In centinaia e centinaia di commenti, vergati dai soliti professionisti dell’indignazione, si continua a sostenere che le ragazze abbiano circuito i due baldi giovini orchestrando una trappola ben congegnata. Altri, invece, sostengono che siccome le due non hanno riportato evidenti segni di violenza, allora lo stupro non sussiste. Un po’ come a dire che se uno non ti sventra come una papera, allora non sussiste mai abuso sessuale.

“Erano ubriache e drogate, come puó essere presa in considerazione la loro versione?”, si domandando molti, senza nemmeno per un minuto fermarsi a riflettere sul dato centrale di questa condizione: erano ubriache e fumate, come avrebbero mai potuto dare esplicito consenso al rapporto sessuale con due sconosciuti? No, ma questo per molti non ha importanza, in realtà le due troiette volevano scopare e il giorno dopo hanno cambiato idea e hanno deciso di denunciare i due poveri malcapitati carabinieri che durante le ore di servizio hanno ben pensato di fermarsi per 20 e passa minuti a scopare con due ragazzine poco più che maggiorenni lasciando incustodita l’auto.

In mezzo a tutto questo baillame, molti accusano i carabinieri di aver disonorato la divisa. Ma non per la violenza sessuale, che molti continuano a mettere in dubbio per i motivi di cui sopra, ma perché hanno scopato durante l’orario di servizio. Insomma, a noi dello stupro non ce ne frega una beneamata fava, ci frega del fatto che questi stessero scopando durante l’orario di lavoro, con la divisa addosso.

A colpirmi, in particolar modo, non è solo la trattazione della vicenda da parte della stampa italiana, ma anche e soprattutto quel che sta evidenziando questo caso di cronaca, ovvero che molti concittadini – persone insospettabili che vivono in mezzo a noi, lavorano con noi, pranzano con noi, escono con noi – abbiano un’idea assolutamente distorta di cosa sia una violenza sessuale. Per la maggior parte delle persone sembra che lo stupro di Rimini sia stato un vero stupro perché la turista polacca è stata praticamente ferita quasi a morte.

Insomma, senza evidenti segni di violenza non si può chiamare stupro, casomai è colpa delle ragazze che erano troppo ubriache, che hanno cambiato idea per qualche tornaconto personale, che non hanno protestato non nel tentativo di proteggersi in modo tale da evitare un epilogo peggiore, ma perché alla fine stavano godendo. Il consenso esplicito sembra passare in secondo piano, molti pensano sia normale che ci si possa approfittare di due ragazze in evidente stato di ebrezza, che proprio perché prive di freni inibitori non possono permettersi il lusso di denunciare due poveri tapini che, alla fine, sotto la divisa, rimangono pur sempre uomini e si sa, l’uomo è fatto di carne. Insomma, a conti fatti, non arriviamo a considerare la violenza sessuale una cosa seria, a meno che la violenza non sia perpetrata da uno sconosciuto, meglio se di colore scuro, che ti scopa a sangue e ti lascia per terra mezza morta.

Immagino che le stesse persone pensino non ci sia niente di male nel continuare a fare sesso con una donna che cambia idea durante il rapporto “perché tanto ormai me l’ha data, cosa cambia?” o che sia lecito scoparsi a forza la propria moglie o fidanzata anche se lei in quel momento non vuole o che ancora sia lecito far bere a più non posso una ragazza nel tentativo di portarsela a letto o che ancora un “no” non sia mai veramente un “no” ma un sí celato dall’orgoglio, persone che ragionano con il cazzo e che pensano, insomma, che la donna sia un oggetto privo della facoltà di esprimere un netto consenso o dissenso a seconda della situazione, ma che invece debba solamente adeguarsi a ciò che l’istinto animalesco dell’uomo in quel dato momento vuole.

Una mentalità difficilmente scardinabile, mentalità che soprattutto porta sempre più donne a evitare di denunciare stupri e abusi sessuali, soprattutto quelli subiti in famiglia, per paura di non essere comprese, di essere considerate delle paranoiche, di essere giudicate, di dover convivere tutta la vita con lo stigma sociale del “avrai dato tu dei segnali sbagliati” che inevitabilmente ti si appiccica addosso.

Charlotte Matteini

Mi chiamo Charlotte Matteini, sono nata il 30 dicembre del 1987 e tra pochi mesi compirò *enta anni. Sono laureata in una materia piuttosto bistrattata: comunicazione politica. Ho un passato da consulente, professione mollata per seguire la mia vera passione: il giornalismo. Sono ufficialmente giornalista dal 2016, ufficiosamente dal 2011, e mi occupo di politica interna e polemiche assortite.

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